L’arte non si ferma. Questo prestito temporaneo celebra la collaborazione intermuseale e il ruolo attivo dei Musei civici di Savona nella divulgazione culturale.
Queste opere sono attualmente in mostra a Venezia, presso il Museo M9 (Pertini. L’arte della democrazia, dal 20 novembre 2025 al 31 agosto 2026), contribuendo a rendere il nostro patrimonio fruibile a un pubblico più ampio.
L’uomo
Sandro Pertini, grande appassionato di arte, in particolare di pittura e letteratura, inizia a formare la propria collezione dopo la Liberazione dal nazifascismo e la fine della Seconda guerra mondiale (1945). Tra i quadri, i disegni e le sculture moderne da lui amate e raccolte, risulta chiaro come egli apprezzasse sia le opere figurative, dove cioè è evidente la rappresentazione di una o più figure riconoscibili, sia quelle astratte, dove l’immagine è ottenuta dall’accostamento ritmico di colori e segni in forme pure, geometriche o organiche.
Rientrano nei suoi gusti opere realiste, ovvero che indagano la realtà in modo analitico, sia nella sua manifestazione visiva sia nei contenuti più intimi, ma anche informali, dove non appaiono neppure più le forme geometriche, ma solo macchie di colore, segni e gesti pittorici immediati e spontanei sulla tela (o sulla materia plastica, per le sculture).
Tutti questi linguaggi espressivi dell’arte visiva nascono e si sviluppano grazie alle avanguardie, quei movimenti e gruppi di artisti che rompono con la tradizione e innovano i campi delle arti.

MARIO DE LUIGI
Treviso 1908 – Venezia 1978
DECIFRARE L’AMORE 1936
Olio su masonite, 38×28 cm
Firma in basso a sinistra, data sul retro
Questo quadro è stato dipinto da Mario De Luigi al termine del suo soggiorno parigino, iniziato dieci anni prima, nel 1926. L’astrazione formale delle sue opere di questo periodo dimostra infatti i contatti con i gruppi di artisti sperimentali internazionali, e in particolare l’influenza del Futurismo, dell’Astrattismo e del Surrealismo, tutti movimenti e correnti dell’avanguardia europea del primo Novecento.
In quest’opera, delle figure astratte dalle forme organiche e giocate sui contrasti cromatici sembrano muoversi tra spazi architettonici e urbani interni ed esterni. La compenetrazione dei piani e i tagli di luce rendono dinamica e ritmica la scena, che però si mantiene soffusa e dolce di rapporti lirici e musicali tra le forme, in un’armonia che richiama i giochi d’amore del titolo.
La presenza di quest’opera nella collezione di Sandro Pertini testimonia l’attenta predilezione del collezionista per l’arte d’avanguardia e astratta.

GIUSEPPE SANTOMASO
Venezia 1907 – 1990
MURO E ALGHE DELLA LIGURIA 1954-82
Olio su tela, 82 x 116 cm
Firma e data in basso a destra
Giuseppe Santomaso fa parte di quegli artisti, molto amati da Pertini, che negli anni ’30 iniziano a maturare un’opposizione intellettuale e morale al fascismo. Alcuni di essi, come Santomaso, si riuniscono a Milano in un gruppo chiamato “Corrente”, dal nome della rivista Corrente di vita giovanile, fondata il 1° gennaio 1938 da Ernesto Treccani, figlio di Giovanni Treccani, personalità pubblica importante e fondatore dell’Istituto Treccani (quello dell’Enciclopedia), e chiusa dal regime nel 1940.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, Santomaso e altri artisti antifascisti confluiscono nel Fronte Nuovo delle Arti e poi nel Gruppo degli Otto, un raggruppamento di artisti non figurativi.
Quest’opera rappresenta un paesaggio della costa ligure, regione in cui Pertini è nato, cresciuto e si è formato politicamente. Tuttavia, la Liguria del Presidente è quella di Ponente, della provincia di Savona, mentre in questo dipinto viene immortalato uno scorcio della Baia Fiascherino, a Lerici, nelle Cinque Terre.
Ma è la dedica scritta sul retro a svelare i risvolti biografici dietro alla genesi del dipinto: iniziato da Santomaso nel 1954 a Lerici, è stato ultimato e dedicato a Sandro Pertini quando già era Presidente della Repubblica, nel settembre 1982.
Il 10 aprile 1955, da Venezia, città in cui viveva, Santomaso scrive a Pertini: «Caro Pertini, al disopra delle meschinità permetti che io ti offra questa moderata prova del mio lavoro come segno di stima e ammirazione per l’uomo che sa scegliere con la stessa sensibilità la causa migliore e la difficile via della poesia. Invio a te e alla tua valorosa compagna il mio devoto omaggio».

OTTONE ROSAI
Firenze 1895 – Ivrea 1957
MARINA DI CECINA 1955
Olio su tela, 50 x 65 cm
Firma in basso a destra e titolo sul retro
Come recita un’annotazione autografa sul retro del quadro, il dipinto viene acquistato a Firenze da Sandro Pertini e da sua moglie direttamente da Rosai, durante una visita al suo studio nel 1955. Alla fine di quell’anno, il 23 dicembre, Rosai invia a Pertini una lettera di auguri che si conclude così: «Non mi risponda, non perda del tempo a lei prezioso. Li accetti e basta. Del resto, non mancherà occasione di vederci e in tal caso sapremo entrambi come la nostra reciproca stima e i nostri affetti non hanno mai subito interruzioni».
Tre anni prima, l’artista aveva esposto in una sala personale alla Biennale di Venezia e stava allora preparando una grande antologica nella città di Ivrea per il 1957, mostra che non riuscirà a inaugurare, venendo a mancare poco prima dell’apertura.
Il quadro ben documenta l’ultima fase espressiva di Rosai, dominata dalla distensione delle forme e del colore, in tonalità più serene e delicate. In questa veduta di Marina di Cecina sembrano così condensarsi gli studi precedenti sul paesaggio toscano, su Masaccio, sull’arte del tardo ‘300 e primo ‘400 (i cosiddetti pittori primitivi italiani). Tutti questi modelli appaiono ora consolidati da una nuova consapevolezza formale e da una rarefatta armonia metafisica, aggiornata evidentemente dal continuo studio e approfondimento delle immagini.

MARIO MAFAI
Roma 1902 – 1965
NATURA MORTA 1959
Olio su tela, 35 x 40 cm
Firma e data in basso a destra
Mario Mafai è stato un artista sempre interessato a osservare e confrontarsi con quanto avveniva in pittura intorno a sé, non solo in Italia ma anche e soprattutto negli altri paesi europei, a cominciare dalla Francia (dove soggiornò nel 1930, trovando ispirazione nelle opere di artisti figurativi ma fortemente sperimentatori di forme e immagini nuovi: Derain, Chagall, Soutine e Dufy). Alla fine degli anni ’20 è stato animatore del gruppo di artisti espressionisti che il critico Roberto Longhi definì “Scuola romana di via Cavour”, a Roma. Insieme a Mafai c’erano anche gli artisti Scipione (Gino Bonichi), Marino Mazzacurati e la moglie Antonietta Raphael (artista lituana).
La Scuola romana condivideva con il gruppo di Milano “Corrente” l’antifascismo e la ricerca espressionista sul colore, e c’erano molti contatti, rapporti e soprattutto solidarietà reciproca tra gli artisti dei due movimenti.
L’interesse di Pertini per Mario Mafai non può che trovare esito nell’acquisto di un’opera a lui contemporanea come questo dipinto, che fa parte dell’ultima fase della vita dell’artista, quando riprende i temi e i soggetti a lui cari, ampiamente sperimentati negli anni ’20 e ’30: nature morte, fiori e paesaggi romani. La pittura si fa più sciolta e materica, virando talvolta anche verso l’informale naturalistico.

FRANCESCO MESSINA
Linguaglossa, Catania 1900 – Milano 1995
TESTA DI BIMBO 1929
Bronzo, 23 x 17 x 18 cm
Firma in basso
La famiglia di Francesco Messina si trasferì a Genova dalla Sicilia quando lui aveva solo un anno, con l’intento di imbarcarsi per emigrare in America. Rimasero invece a Genova fino al 1932 e così Francesco Messina completò la sua formazione e avviò la sua carriera di scultore in Liguria, prima di trasferirsi a Milano per insegnare all’Accademia di Brera, di cui diventò anche direttore. È autore di numerosi monumenti pubblici, sia in Italia che in America Latina, ed è considerato uno dei più importanti scultori figurativi del ‘900.
Messina conobbe Sandro Pertini nel 1978, quando dalla Russia (che era all’epoca Unione Sovietica) fu invitato a fare una mostra prima a Mosca e poi a Leningrado (l’odierna San Pietroburgo) e venne indirizzato proprio dai Sovietici a Pertini, che da due anni non era più Presidente della Camera dei Deputati, ma che proprio quell’anno avrebbe iniziato il suo settennato da Presidente della Repubblica italiana. Pertini e sua moglie Carla Voltolina ricevettero Messina in casa, dimostrando il rispetto per quello scultore che da una parte della cultura italiana era stato giudicato troppo vicino al regime fascista, essendo stato nominato Accademico d’Italia dal regime nel 1943.
Tra il 1981 e il 1982 il Presidente Pertini in visita a Milano volle recarsi al museo che in quella città ancora oggi è dedicato a Francesco Messina, conservando ed esponendo la sua opera. L’artista, dopo aver illustrato brevemente le sue opere, «conoscendo il grande amore di Pertini per i giovanissimi, gli offrì una delicata testa di bambino, opera bronzea del 1929, ancora oggi molto apprezzata. Il presidente abbracciò» Messina, «ringraziandolo per quello che aveva fatto e ancora faceva per l’Italia» (dal ricordo della figlia, Paola Messina, presente a quell’incontro).
Il politico
L’impegno politico di Sandro Pertini nell’Italia repubblicana e democratica non gli impedisce di coltivare i suoi interessi per la cultura e di alimentare in particolare la sua passione per l’arte a lui contemporanea. Da parlamentare (Senatore della Repubblica) e da Presidente della Camera dei Deputati (1968-1976) egli mantiene vivi i contatti con gli artisti di cui è amico o dei quali stima il lavoro e l’impegno civile e politico, attraverso lettere, incontri personali e visite negli studi e alle mostre.
In particolare, egli ricerca il contatto e il rapporto dialettico con quegli artisti che hanno unito la loro ricerca poetica all’impegno civile, spesso anche come militanti antifascisti e compagni di lotta partigiana. I temi e i soggetti delle opere che Pertini acquista o riceve in dono, infatti, sono spesso collegati all’esperienza della liberazione ma anche all’anelito di pace, libertà e democrazia, per il quale egli è convinto gli artisti possano fare molto agendo in modo attivo nella società.

LUCIANO MINGUZZI
Bologna 1911 – Milano 2004
FIGURA CHE CORRE 1952-58
STUDIO PER LE PORTE DEL DUOMO DI MILANO
Bronzo, 65,5 x 67 x 14,5 cm
Sigla e firma in basso a sinistra
Nel 1950 la Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano lanciò un bando di concorso per la decorazione della quinta porta della famosa cattedrale (quella avente per tema la storia del Duomo stesso). Luciano Minguzzi si aggiudicò l’incarico, riuscendo ad affermarsi su concorrenti molto validi come Lucio Fontana, che arrivò tra i finalisti. La quinta porta del Duomo di Milano, con le decorazioni in altorilievo di Minguzzi, fu inaugurata molti anni dopo, nel 1964.
Questa figura che corre è uno dei bozzetti di prova che lo scultore iniziò a eseguire negli anni di poco successivi al bando.
Minguzzi realizzò altre opere pubbliche, tra cui il Monumento al Partigiano e alla Partigiana per Piazza Lame a Bologna, luogo di una feroce battaglia tra partigiani e truppe nazifasciste.
Il suo rapporto con Pertini fu di amicizia e stima, come racconta lo stesso scultore in un bel ricordo: «Ho conosciuto Sandro Pertini molti anni fa sulla terrazza dell’hotel Posta a Cortina. […] I nostri incontri, in un primo tempo casuali, divennero, per tacita intesa, quotidiani e alle quattro del pomeriggio, insaccati nelle nostre palandrane invernali, eravamo entrambi puntualissimi per goderci quel confortevole sole invernale che fortunatamente per tutto quel periodo non ci abbandonò. I nostri discorsi vertevano quasi esclusivamente su questioni artistiche ed io ebbi modo di constatare in Pertini una preparazione in questo campo veramente eccezionale».
Ricordo di Luciano Minguzzi:
«Avevo avuto l’incarico dalla Provincia della mia città di eseguire il busto dell’avv. Vighi, primo presidente di quel sodalizio, e mi ero accinto di buona lena a quell’ingrato compito; non avevo conosciuto Vighi e fare un ritratto dalle fotografie è sempre qualcosa di gravoso e arido.
“Ma a chi somigliava ‘sto Vighi?” domandai.
“Guarda”, mi disse uno che se ne intendeva, “era un tipo un po’ come Pertini”. Fui folgorato!
“Ostia! Ma è vero! Nella foto è spiccicato a Pertini, come mai non me ne ero reso conto prima?”.
Il busto venne fuori un po’, forse, Vighi, che Dio solo sa come era.
Il giorno dell’inaugurazione, alla presenza del Presidente della Repubblica, alla caduta del drappo che avvolgeva il busto ci fu un attimo di commozione e di silenzio, poi Pertini cercandomi con lo sguardo fra le persone che lo seguivano inarcò le sopracciglia come per dirmi: “Minguzzi! Ma che cosa hai fatto?”.
Io mi strinsi nelle spalle a mo’ di scusa e mi defilai. Poi, finalmente, le autorità proseguirono oltre.
Non ho più visto Pertini e forse, se lo dovessi nuovamente incontrare, cercherei di scantonare. Non vorrei mi rimproverasse ancora».

GIUSEPPE ZIGAINA
Cervignano del Friuli 1924 – Palmanova 2015
BRACCIANTE CON LA FALCE 1949
Olio su masonite, 129 x 74 cm
Firma e data in basso a sinistra
Il pittore friulano Zigaina aderisce negli anni ’40 al movimento neorealista italiano, affrontando temi sociali e popolari, come in questo dipinto, dove egli raffigura un contadino chino a sistemare la lama della falce con un martello, con impliciti riferimenti ai simboli del movimento operaio e del partito comunista (falce e martello).
Sullo sfondo, oltre alle altre lame, una bicicletta: mezzo di trasporto economico e fondamentale nelle campagne e nelle città italiane di quegli anni.
Il linguaggio figurativo di Zigaina è chiaro, lineare e incisivo. Oltre al disegno e alla grafica, egli dimostra di padroneggiare in modo attuale e innovativo anche le lezioni delle avanguardie artistiche di inizio ‘900, come il Cubismo, il Futurismo e l’Espressionismo: riferimenti evidenti nella costruzione geometrica dei corpi, nel dinamismo dello spazio della composizione e nei contrasti cromatici.
Ricordo di Giuseppe Zigaina:
«Sandro Pertini era ancora “semplice” senatore quando venne a trovarmi nella mia casa di Cervignano […] ci sedemmo davanti al grande camino acceso. Faceva quasi freddo perché era autunno inoltrato. Quella sera Sandro era particolarmente allegro ed espansivo. Parlò molto e di tutto: di politica, di pittura, di filosofia, della bellezza […].
La passione di Pertini per la pittura era risaputa nella cerchia dei suoi amici, e io, allora, ero proprio un giovanissimo pittore. Fermo Solari, il mitico industriale carnico degli orologi e suo compagno di partito, volle regalargli un mio quadro.
Era già soffocante di verdi e notturno; chiaro come un sogno. […] Una bicicletta, uno steccato e un bracciante chino ad affilare la sua falce. I simboli della nostra comune passione. Ho saputo che Pertini ha voluto tenere vicino a sé quel quadro fino all’ultimo giorno della sua vita».

RENATO GUTTUSO
Bagheria 1912 – Roma 1987
SCILLA 1949
Olio su cartoncino, 50 x 67 cm
Firma, data e titolo in basso a sinistra
Renato Guttuso è il punto di riferimento del neorealismo pittorico italiano. Il suo linguaggio è sicuramente influenzato da Picasso e in particolare dal suo grande dipinto del 1937, Guernica, intitolato alla città basca, nel nord della Spagna, bombardata dall’aviazione nazifascista quello stesso anno durante la guerra civile spagnola. Il drammatico quadro Guernica nell’Italia degli anni ’50 diventerà un vero e proprio modello di ispirazione per la capacità di Picasso di fondere figurazione realista, modernità astratta e impegno civile.
La responsabilità di Guttuso traspare con evidenza nella sua arte, che sposa spesso temi popolari, collettivi e sociali. Fanno parte del repertorio di Guttuso i paesaggi e le scene quotidiane ambientate in Sicilia, sua terra d’origine. Quest’opera ne è un esempio: i forti e abbronzati corpi dei marinai governano l’imbarcazione che attraversa il mare agitato nel Canale di Sicilia. Il titolo fa riferimento all’antico mito greco di Scilla: un mostro marino immaginario che incarnava il reale pericolo creato dagli scogli di cui è disseminato lo stretto di Messina. La vedetta della barca, infatti, scruta la superficie dell’acqua per individuare tempestivamente eventuali pericoli da evitare. Guttuso sembra suggerire che, dai tempi antichi fino ad oggi, il rapporto dell’uomo con il mare è governato dalle stesse leggi di sopravvivenza: solidarietà, fatica, abilità e fortuna.
Lettera di Renato Guttuso a Pertini:
Pertini e Guttuso erano legati da autentica amicizia, oltre che da reciproca stima. Nella sua collezione personale Pertini possedeva ben quattro carte dipinte dall’artista siciliano. In una lettera di Renato Guttuso a Sandro Pertini del 14 luglio 1974 si legge:
«Caro Sandro, sono stato felice di vederti ieri sera, con la tua cara e brava compagna. Spero che il quadretto che ti mando incontri il tuo gusto. Posso dirti che l’ho scelto, tra i pochi fatti quest’anno, attraverso molte considerazioni: la qualità, anzitutto, ma anche volevo offrirti qualcosa che ti piacesse, ti rallegrasse; l’ho scelto con amore. Tu sei un grande amico, compagno e maestro di vita. Con un abbraccio, tuo Renato»

TONO ZANCANARO
Padova 1906 – 1985
COMACCHIO 1951
Tempera su carta, 62×91 cm
Firmata, datata e titolata in basso a destra
Questo dipinto su carta raffigura uno scorcio del paese adriatico Comacchio, celebre per i suoi canali e il suo paesaggio lagunare. L’attenzione dell’artista veneto però si concentra sui tipi umani che popolano le strade del borgo: operai a riposo, chiusi nei loro dialoghi muti, le cui sagome si confondono con le mura decadenti degli edifici che fanno da quinte teatrali alla scena.
Zancanaro si era avviato definitivamente all’arte negli anni ’30, grazie all’incontro con il pittore fiorentino Ottone Rosai, che aveva assunto come maestro e iniziato a frequentare con una certa regolarità. Il maestro gli aveva trasmesso l’attenzione per gli ultimi e i più deboli, incoraggiando in Zancanaro la maturazione di un’unità di pensiero politico e artistico, riscontrabile in opere come questa, su cui è caduta infine la scelta di Sandro Pertini, animato dalla stessa vocazione per gli ultimi.
Guerra e Pace
In questa sezione sono raccolti tre dipinti molto importanti per Sandro Pertini, per diverse ragioni. La natura morta dipinta da Giorgio Morandi sta in mezzo a due quadri dal linguaggio molto differente, anzi opposto, di due pittori del cosiddetto informale italiano: Antonio Corpora e Emilio Vedova. L’informale è una corrente stilistica molto vasta che si diffonde in tutta Europa negli anni immediatamente successivi la Seconda guerra mondiale, e che nasce dall’impossibilità di ritrovare un linguaggio compiuto e definito, alla luce dello sterminio e della barbarie disumana che ha caratterizzato il conflitto.
Tutte e tre risalenti al dopoguerra, le opere di Morandi, Corpora e Vedova in realtà ci restituiscono la tensione tra il tumulto e l’agitazione della guerra da un lato, e la tranquillità della pace dall’altro. Ma queste opere sembrano dirci di più: anche nel conflitto possono nascere i frutti migliori della speranza, della dignità e della solidarietà, rappresentati qui dalla forza del colore e dalla libertà dei gesti di Corpora e Vedova; mentre la pace, come gli oggetti raffigurati da Morandi, è sempre qualcosa di precario, da proteggere e su cui vigilare.

ANTONIO CORPORA
Tunisi 1909-Roma 2004
COMPOSIZIONE 1 1948-52
Olio su tela, 73 x 60 cm
Firma in basso a sinistra
Questo dipinto dimostra la coerenza collezionistica di Sandro Pertini, orientato istintivamente e intellettualmente a premiare la pittura italiana degli anni di passaggio dal regime fascista alla Repubblica: gli stessi anni che egli ha vissuto con impeto, passione politica e coraggio umano da militante della lotta di liberazione.
Anche Corpora, infatti, come Birolli e Guttuso, presenti in questa mostra, aderisce nel 1947 al Fronte Nuovo delle Arti, un raggruppamento di artisti che vuole unire rinnovamento artistico e impegno politico democratico e antifascista. In quegli anni, Corpora passa da una figurazione di ispirazione picassiana e neocubista alla completa astrazione informale, di cui l’opera in mostra è un esempio emblematico, in quanto si basa non su linee e forme geometriche ma sull’espressività autonoma del colore.

GIORGIO MORANDI
Bologna 1890 – 1964
NATURA MORTA 1957
Olio su tela, 20 x 30 cm
Firma in basso a sinistra
Il motivo delle bottiglie slanciate, che caratterizza in modo ricorrente l’opera di Giorgio Morandi fin dagli anni ‘20, viene ripreso negli anni ‘50, raggiungendo il suo apice nel 1957, in una serie di quadri in cui gli oggetti si presentano compatti e serrati in una sorta di equilibrio architettonico.
In questa ricerca figurativa, il critico Lionello Venturi riconobbe una continuità con la più nobile tradizione pittorica italiana rinascimentale, sottolineando come nelle bottiglie dipinte da Morandi risieda la garanzia che nella pittura contemporanea possa ancora vivere la continuità con il passato.
L’opera in mostra è un esempio di questa serie di opere del 1957, benché si discosti nella scelta degli oggetti raffigurati: non più bottiglie allungate ma vasetti e contenitori squadrati, sui toni del grigio, spezzati dal rosso di un cubo.
Morandi qui sonda lo spazio orizzontalmente, scegliendo vasi bassi e disponendoli molto vicini tra loro, lasciando cadere la luce anche sull’orlo del tavolo in primo piano. L’attenzione dello sguardo si concentra sulla scatola posta di sbieco al centro, attorno alla quale si dispongono gli altri contenitori, creando un fronte architettonico compatto. I vasetti più piccoli sembrano voler fuggire dal centro della composizione e in altri casi volerci rientrare, creando così un movimento dinamico nonostante l’apparente staticità della visione.
Pertini e Morandi
Sul retro del dipinto Sandro Pertini ha annotato: «Questo quadro mi è stato donato da Giorgio Morandi in Bologna il 1° ottobre 1957». In una seconda nota egli specifica anche l’indirizzo dello studio dove ricevette il dono: via Fondazza 36, che è appunto ancora oggi la sede museale di Casa Morandi. L’accordo era avvenuto già molto tempo prima (testimoniando peraltro un dialogo non sporadico tra i due), dal momento che nel febbraio di quello stesso anno in una lettera a Morandi Pertini aveva manifestato la sua gioia di «veder finalmente esaudito il sogno di avere una sua opera». Il 23 giugno 1960 Morandi e le sue sorelle scrivono una lettera a Pertini per ringraziarlo della scatola di amaretti che gli aveva regalato loro.
Come in molti altri casi, questo dipinto è entrato a far parte della collezione personale di Pertini ben prima che ricoprisse le cariche di Presidente della Camera e poi della Repubblica, provando che la sua passione per l’arte contemporanea lo accompagnasse al di là dei ruoli istituzionali e fosse quindi genuino interesse culturale e intellettuale. Quel che i documenti storici testimoniano, inoltre, è la coerenza e la continuità di questi suoi valori culturali anche nel corso delle sue funzioni pubbliche nelle più alte cariche dello Stato. Il 14 ottobre 1984, infatti, mentre è Presidente della Repubblica, Pertini visita il Centro di Documentazione «Giorgio Morandi» inaugurato quell’anno nel paese di Grizzana Morandi, insieme a Maria Teresa Morandi, sorella del pittore venuto a mancare nel 1964. Il Centro di Documentazione, inaugurato in quello stesso anno, includeva infatti anche la villetta di Grizzana Morandi, dove Giorgio Morandi dal 1959 era solito trascorrere le vacanze estive e che conserva ancora intatto lo studio e gli arredi domestici.

EMILIO VEDOVA
Venezia 1919-2006
LO STREGONE 1948
Olio su tela, 133×62,5 cm
Firma e data sul retro
Esistono diversi aneddoti intorno a questa straordinaria opera e alla passione che Sandro Pertini nutriva per essa e per il suo autore.
Anzitutto va ricordato che Lo stregone fu riacquisito dallo stesso Emilio Vedova a Milano, in una mostra alla galleria L’Annunciata, perché l’artista non possedeva più opere del 1948 di quella importanza. Si trattava della fase stilistica che egli definiva “geometria/colore”.
Da Presidente della Camera, Pertini comunicò a Vedova di voler acquistare una sua opera per la Camera dei Deputati e si organizzò per fargli visita a Venezia. Dopo aver visto molte opere nel suo studio, una volta salito in casa il Presidente rimase ammaliato dalla visione de Lo stregone e lo volle per sé.
Il critico d’arte Luciano Caramel racconta che qualche anno dopo, il giorno dell’inaugurazione del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia del 1982, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini giunse in visita ufficiale e nell’ammirare i quadri che Vedova personalmente gli illustrava, si ricordò di un certo quadro che egli avrebbe mancato di recapitargli, apostrofando pubblicamente l’artista.
Ricordo di Luciano Caramel, sulla visita di Sandro Pertini alla Biennale di Venezia del 1982:
«Vedova aveva iniziato a illustrare le tele appese alle pareti. Ne evidenziava la fragranza segnica e cromatica, così tesa e densa di significazioni. Pertini esaminava attentamente i quadri, con manifesta ammirazione. Poi, all’improvviso, tolse gli occhi dalle opere e li ficcò sul pittore, da sotto in su, chiedendogli conto, a voce alta, di fronte a tutti, di un certo quadro che, diceva, attendeva da anni. Vedova, che forse neppure si ricordava di quanto Pertini gli stava dicendo, imbarazzato rispose che era a disposizione, pronto a fargli avere subito, dove e quando voleva ciò che desiderava. Ma Pertini, che aveva posato lo sguardo sulle vicine opere di Turcato, ne trasse lo spunto per additare in lui, polemicamente, l’esempio della puntualità fatta persona. Si guardò quindi intorno e non vedendo l’artista tra i presenti, mi chiese dove mai fosse. Gli assicurai che doveva essere nei dintorni: l’avevo lasciato da poco. Il Presidente si mise allora a reclamarlo a gran voce. Così che Turcato, che s’era nascosto nella sala successiva, s’affacciò come impaurito, guardandosi bene dal procedere oltre. E Pertini a chiamarlo presso di sé, mentre Vedova si affannava per cercare di capire a che si riferisse il Presidente, senza dare l’impressione di volerlo contraddire. […]
E mentre Pertini decantava le qualità dei quadri di Turcato in suo possesso, riuscii a ricordargli che di opere dell’artista, nuove, bellissime, dai colori magici, ce n’erano pure nella sala in cui eravamo. Pertini lasciò quindi il giallo del quadro di Vedova (che sia Lo stregone ora entrato in questa donazione e qui esposto?) per ammirarle».
Il prigioniero
Sandro Pertini viene condannato più volte dai tribunali fascisti. La prima volta viene arrestato nel 1925, per aver distribuito a Savona un opuscolo contro il regime, ma è nel 1929 che riceve la condanna più lunga, a oltre dieci anni di reclusione, scontati in diverse carceri e poi anche al confino sull’isola di Ponza. Questi anni duri, di vessazioni e sofferenza, contribuiscono però a formare il carattere dell’uomo e il pensiero del politico, definendone la memoria per i decenni successivi.
In molte delle opere d’arte che in seguito egli acquista o riceve in dono dagli artisti, come quelle raccolte in questa sezione, si possono intravedere rimandi alle violenze subite (Sironi, Sassu), alle letture che l’hanno sostenuto (come nel caso dello scrittore francese Anatole France, ritratto nel quadro di De Pisis) e alla dimensione del confino o dell’attesa (Birolli, Guidi).

MARIO SIRONI
Sassari 1885 – Milano 1961
SENZA TITOLO 1913
Tempera su carta, 31×21 cm
Firma in basso a destra e data sul retro
Che Sandro Pertini avesse un gusto spiccato per le opere dell’avanguardia, rifuggendo dalle composizioni retoriche o accomodate su valori accademici, è testimoniato anche da questo piccolo dipinto di Mario Sironi, presente nella sua collezione insieme ad altri sei disegni dello stesso autore.
Sironi è stato un convinto esponente del Futurismo, frequentandone i protagonisti come Balla, Boccioni e Severini ancor prima della nascita ufficiale del movimento nel 1909. Ma soprattutto egli ha sposato convintamente la rivoluzione fascista, della quale è stato uno dei principali interpreti attraverso le sue opere pubbliche. Questo aspetto ideologico non lo esime da essere stato un autentico ricercatore visuale, sempre interessato ai problemi della forma e dell’unità compositiva. Studia le avanguardie contemporanee come il Cubismo e la Metafisica, si interessa alle istanze di movimenti italiani alternativi che affermano il nuovo classicismo pittorico, come Valori Plastici e Novecento, e si concentra su tematiche esistenziali nel suo celebre ciclo di dipinti sulle “periferie urbane”. Quest’opera ben rappresenta il linguaggio volutamente essenziale e plastico della pittura di Sironi, le cui atmosfere sono talvolta cupe e rimandano a inquietudini dalle quali il pittore non è mai stato esente.

FILIPPO DE PISIS
Ferrara 1896 – Milano 1956
RITRATTO DI ANATOLE FRANCE 1929
Olio su cartone, 22×16 cm
Firma e data sul retro
Questo efficace ritratto, costruito con poche e corpose pennellate, molto essenziali e materiche, raffigura lo scrittore parigino Anatole France (pseudonimo di François-Anatole Thibault) nella fase finale della sua vita (muore infatti nel 1924). Si tratta dunque di un dipinto praticamente contemporaneo al soggetto, realizzato da De Pisis mentre frequenta assiduamente Parigi e la sua scena artistica, e dove ha quindi senz’altro potuto maturare l’ammirazione per lo scrittore francese, premio Nobel per la letteratura nel 1921.
Non si fatica a comprendere l’interesse di Pertini per questo dipinto, dal momento che sono noti i suoi gusti letterari. In diverse lettere inviate dal carcere, alla sorella come ai compagni di partito, Pertini chiede soprattutto di ricevere libri (di storia, di filosofia, di sociologia, ecc.); in questo bisogno di tenersi impegnato intellettualmente, un nome spicca sempre sugli altri per quel che riguarda la letteratura, quello di Anatole France, che Pertini dichiara essere in assoluto fra i suoi autori preferiti, amato per la sua “chiarezza formale”.

ALIGI SASSU
Milano 1912 – Majorca 2000
LA MORTE DI CESARE 1938
Acquarello su carta intelata, 34,5×47 cm
Firma in basso a destra
L’anno in cui Sassu realizza questo disegno è significativo. Nel 1938 il regime fascista promulga le leggi razziali che colpiscono la comunità ebraica. A Milano, il giovane Ernesto Treccani fonda la rivista Corrente di vita giovanile, che raccoglie artisti e letterati antifascisti, fra i quali vi è anche Sassu, cresciuto in una famiglia socialista che sosteneva gli sforzi della resistenza interna contro il regime. Negli anni ’20 Sandro Pertini frequenta clandestinamente la casa di Aligi Sassu a Milano perché il padre produceva targhe e medaglie con il ricordo di Giacomo Matteotti, deputato socialista assassinato dai fascisti nel 1924.
Il linguaggio visivo volutamente espressionista di Sassu e la forza della sua figurazione convergono in questo disegno giovanile, in cui l’autore ricorre alla metafora storica per parlare di fatti e situazioni attuali. La morte di Giulio Cesare è infatti l’allegoria del tirannicidio e sembra inneggiare al rovesciamento del regime fascista e alla costituzione della Repubblica.
Ricordo di Aligi Sassu:
«Pertini veniva spesso a comprare le medaglie e le stampe col ritratto di Matteotti per la federazione socialista di Savona e la Camera del lavoro. […] Mio padre manteneva certamente rapporti clandestini, anche dopo le leggi eccezionali, […] e la speranza di un crollo del regime attraverso la lotta politica all’interno era una ragione di vita: ed io ne comprendevo e ne soffrivo le ragioni e le speranze per un avvenire migliore. Era una lotta quotidiana con la miseria e la paura per le visite della polizia ogni qualvolta succedeva qualcosa.[Dopo la liberazione] Pertini non si dimentica degli amici pittori e, di passaggio a Milano, sapendo che esponevo alla Galleria 32 in Piazza della Repubblica, entrò a chiedere come stava il suo amico Sassu […]: ha buona memoria il Presidente!».

RENATO BIROLLI
Verona 1905 – Milano 1959
TRINITÉ-SUR-MER 1947
Olio su carta intelata, 44,5 x 59 cm
Firma, data e titolo in basso a destra
Questo dipinto ritrae una “marina” sul paese costiero bretone Trinité-sur-Mer. Il paesaggio diventa l’occasione per Birolli di studiare una composizione di linee e piani in rapporti di tensione spaziale. I tronchi e i rami delle palme, le direttrici della promenade e della strada, gli edifici che si affacciano sul mare, stagliandosi contro il cielo: tutto è densamente dipinto in modo piatto, creando angoli e campi di visione chiusi, sostenuti dal colore orchestrato su scale di blu, verdi e rosa.
Dopo aver aderito al gruppo di artisti antifascisti milanesi “Corrente”, negli anni ’40 Birolli attraversa una riflessione sul cubismo di Picasso, prima di sfociare in un rinnovato naturalismo astratto, che lo colloca pienamente nella corrente dell’informale europeo. Lo stesso anno in cui esegue quest’opera, Birolli aderisce al Fronte Nuovo delle Arti, un movimento che univa la ricerca artistica all’impegno politico, sociale e democratico.
Birolli amava identificarsi come artista-ricercatore, intellettuale aggiornato ma anche impegnato politicamente nelle fila del Partito Comunista Italiano. A un giornalista che gli chiedeva conto dell’apparente contraddizione tra l’affermazione del suo lavoro nel collezionismo borghese e la sua ideologia politica, egli rispondeva che l’adesione al P.C.I. era per lui una questione di orgoglio e rispetto per le sue radici, nel ricordo dei sacrifici e della dignità del padre operaio.

VIRGILIO GUIDI
Roma 1891 – Venezia 1984
L’UOMO E IL CIELO 1981
Olio su tela, 40 x 50 cm
Firma, data e titolo sul retro
Quest’opera appartiene alla fase estrema e finale di un artista prolifico, la cui lunghissima carriera ha attraversato tutto il ‘900.
Partito dalla formazione romana all’inizio del secolo, aderisce al gruppo Novecento fondato dalla critica d’arte vicina a Mussolini, Margherita Sarfatti, ed espone alle Biennali di Venezia e alle Quadriennali di Roma. Dopo la Seconda guerra mondiale si avvicina al movimento Spazialista di Lucio Fontana, sperimenta la pittura informale e dà vita a nuovi importanti cicli pittorici.
Il dipinto L’uomo e il cielo, entrato tardi nella collezione di Pertini quando già era Presidente della Repubblica, racconta del perdurare dell’interesse del collezionista e del suo continuare ad intrattenere rapporti di conoscenza e confronto con gli artisti. Il quadro è figurativo, rarefatto nella composizione, eppure plasticamente definito da un uso del colore essenziale ed espressionista. Caratteristica che, unita al soggetto di tipo classico, conferma l’aggiornamento di Guidi, che all’età di novant’anni sembra perfettamente allineato ai giovani pittori della Transavanguardia e del ritorno alla figurazione pittorica degli anni ‘80.
Il Partigiano
Con molti artisti del suo tempo Pertini non condivideva soltanto interessi, gusti e discussioni culturali; essi in molti casi avevano combattuto gli stessi nemici nazisti e fascisti tra le fila delle squadre di partigiani dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Nei decenni successivi alla fine della Seconda guerra mondiale Pertini ha svariate occasioni di incontrare quegli uomini e quelle donne che con lui avevano condiviso la lotta di liberazione. Molte di queste occasioni sono le visite agli studi degli artisti o alle mostre, ma anche le inaugurazioni dei monumenti ai Caduti, alla Pace e alla Resistenza. Secondo Pertini «soltanto un partigiano artista poteva far rivivere» nell’arte quello che lui considerava il «nuovo Risorgimento» italiano.
In questa sezione sono raccolte opere di artisti che hanno vissuto l’esperienza della guerra e che sono stati in grado di rielaborarla con la loro opera.

MARINO MAZZACURATI
San Venanzio di Galliera 1907 – Parma 1969
VIOLENZA 1944
China e acquarello su carta, 36 x 48 cm
Firma e data in basso a sinistra
Certamente più noto come scultore, Marino Mazzacurati si forma anche come pittore e dopo il trasferimento a Roma, nel 1927, dà vita insieme a Mario Mafai, Antonietta Raphael e Scipione a quella che il critico Roberto Longhi definirà la “Scuola romana di Via Cavour”: un gruppo di artisti antifascisti che dipingono in modo alternativo alla compostezza figurativa e classica del gruppo Novecento di Margherita Sarfatti, esplorando invece le possibilità espressive del colore e confrontandosi con le avanguardie europee, soprattutto francesi e tedesche.
Il titolo del disegno – Violenza – coincide fermamente con l’immagine raffigurata dall’artista e denuncia il clima di terrore che il Paese attraversava nel 1944.
Tre soldati in elmetto, dai volti trasfigurati in macchine mostruose, si accaniscono sulla popolazione civile inerme, rappresentata da un gruppo di donne con i loro bambini. L’immagine attinge alla tradizione antica, come le tante raffigurazioni della Strage degli innocenti narrata nella Bibbia, ma anche alle più moderne incisioni di Goya (come I disastri della guerra) e naturalmente al famoso quadro Guernica di Picasso.

GIACOMO MANZÙ
Bergamo 1908 – Roma 1991
MORTE DEL PARTIGIANO 1954
Litografia, foglio 54 x 38 cm
Firma e data in basso
Questa prova d’artista è una variante inedita delle illustrazioni litografate di Manzù per la raccolta di poesie Il falso e vero verde di Salvatore Quasimodo (premio Nobel per la letteratura nel 1959), pubblicata per la prima volta nel 1954 a Milano da Arturo Schwarz Editore.
L’edizione era illustrata da sette litografie originali a piena pagina e da sei intestazioni di Manzù.
Quasimodo era solito collaborare con gli artisti per far accompagnare le proprie poesie con le immagini. Il pittore Attilio Rossi ad esempio, amico di Pertini, gli inviò in omaggio una copia del volume Milano in inchiostro di china, contenente cento illustrazioni di Rossi per i versi di Quasimodo, pubblicato a Milano da Amilcare Pizzi nel 1963. La risposta di Pertini al dono di Rossi rivela tutta la sua passione per l’opera dell’amico: «amico carissimo Rossi. Il tuo quadro illumina di poesia una parete della mia casa».
Il disegno di Manzù, coerente alla poetica libertaria di Quasimodo, riprende un soggetto tragico e attuale nella vita di chi ha combattuto nella Resistenza contro il nazifascismo: l’esposizione lungo le vie dei cadaveri dei partigiani catturati, torturati e uccisi dalle milizie

AGENORE FABBRI
Barba, Pistoia 1911 – Savona 1998
LA MONDINA 1984 (ante)
STUDIO PER IL MONUMENTO DI VERCELLI
Bronzo, base in alluminio, altezza totale 35 cm
L’11 aprile 1984 il Presidente della Repubblica italiana Sandro Pertini si recava a Vercelli per assistere all’inaugurazione del Monumento alla Mondina: grande scultura in bronzo realizzata da Agenore Fabbri per ricordare il sacrificio delle donne impiegate nelle risaie durante la lotta di liberazione.
Lo scultore di origine toscana si era trasferito negli anni ’30 ad Albisola, a pochi chilometri da Stella, paese natale del Presidente. Lì, dagli amici aveva iniziato a sentir parlare di Pertini come di un giovane e fiero antifascista, perseguitato dal regime. Anni dopo i due si conobbero personalmente.
Il 20 aprile 1974 Pertini fu presente, in qualità di Presidente della Camera dei Deputati, all’inaugurazione del Monumento alla Resistenza di Savona eseguito sempre da Fabbri. Il discorso con cui arringò la folla, nel nome dei valori di libertà e giustizia, è ancora oggi scolpito nella memoria di quanti vi assistettero.
Come nel monumento savonese – dominato dalla figura di un uomo che rompe l’inferriata di una prigione – a Vercelli la mondina è una donna che si erge diritta, non più china sui campi ma fieramente eretta, indicando l’orizzonte.
Ricordo di Agenore Fabbri:
«Quando finalmente ho conosciuto Pertini di persona, ho provato una profonda emozione per la sua semplicità, la sua umanità e il suo amore per l’arte. […] Ci sono uomini che restano sempre giovani: io credo che sia l’amore che li anima; il credere a ciò che si fa dedicandovi se stessi e la propria vita; il saper tramutare i dolori e le esperienze passate in energia positiva e creatrice. Pertini presidente è riuscito a ridare fiducia e speranza soprattutto ai giovani: è diventato un simbolo per 50 milioni d’italiani».

AUGUSTO MURER
Falcade 1922 – Padova 1985
STUDIO PER UN MONUMENTO AL PARTIGIANO 1975
Bronzo, 38 x 17 x 12 cm
Firma e data sul retro
Dalla natia località dolomitica di Falcade, nella provincia di Belluno, Murer si trasferisce a Venezia per studiare scultura: il legno è la sua materia ideale ma sperimenta in seguito anche altri materiali plastici come il bronzo, la cera, il mosaico e la ceramica.
Partecipa alla Seconda guerra mondiale come partigiano, esperienza che si riflette nei soggetti della sua opera. Murer è infatti autore del Monumento alla Resistenza sulla Cima Grappa (nel comune di Pieve del Grappa, Treviso), dove il 22 settembre 1944 sette partigiani vennero bruciati vivi dai lanciafiamme nazifascisti. In seguito realizza la nuova versione del Monumento alla Partigiana veneta, di fronte ai Giardini della Biennale di Venezia, dopo che il precedente monumento dello scultore umbro Leoncillo era stato distrutto da una bomba neofascista nel 1961.
La scultura di Murer mantiene un chiaro stampo figurativo, concentrando il suo studio sulla figura umana, spesso colta nelle tensioni fisiche e psicologiche del sacrificio finale di fronte alla barbarie della guerra e dell’oppressione. Vi è una certa vena teatrale nelle sue composizioni, che unita al trattamento mosso ed espressivo del materiale riesce a rendere le sue sculture particolarmente coinvolgenti e toccanti.

ALBERTO GHINZANI
Valle Lomellina, Pavia 1939 – Milano 2015
STENDARDO 1978
STUDIO PER UN MONUMENTO ALLA RESISTENZA
Bronzo, 50 x 30 x 13 cm
Firma in basso a sinistra
Quest’opera fa parte della serie di bozzetti per Monumenti alla Resistenza, un filone a cui Sandro Pertini presterà una particolare attenzione e dedicherà un posto di rilievo nella sua collezione privata. Come ricordato altrove dallo scultore Umberto Mastroianni, Pertini «tornava sempre al periodo che lo appassionava di più, di cui fu uno dei protagonisti: la Resistenza. “… i bozzetti per commemorare quel periodo sono tra i messaggi più intensi e completi che l’arte abbia modulato per interpretare i sacrifici, le passioni, le lotte di un intero popolo. Credo che null’altro, come queste opere, dia ragione alla sua epopea…”».
Quest’opera di Ghinzani è interessante per diverse ragioni. Nonostante si tratti di una scultura, essa presuppone uno sguardo frontale, tipico del quadro, alla forma del quale sembra in effetti alludere, con la sua cornice rettangolare che contiene l’immagine. Eppure, lo sguardo può attraversare libero questo quadro, senza fermarsi alla sua superficie, che rappresenta uno sventolio di bandiere, lo “stendardo” da cui il titolo. L’intuizione e l’abilità dell’artista sta proprio nella coincidenza tra tema trattato e modo di rappresentarlo: nel gioco che si crea tra il movimento libero dei drappi mossi dal vento e la leggerezza dell’aria e dello sguardo che passano attraverso la scultura, senza limitazioni e forzature.
Il Presidente
Già durante i suoi due mandati alla Presidenza della Camera dei Deputati, Sandro Pertini aveva avuto modo di alimentare il rapporto con gli artisti e il loro coinvolgimento nella vita politica pubblica. Nella sua convinzione sull’importanza fondamentale delle arti per il tessuto democratico del Paese, il Presidente Pertini si attiverà con gli artisti per incrementare il patrimonio d’arte moderna della Camera dei Deputati.
Perfino da Presidente della Repubblica, nonostante gli impegni istituzionali e la rigidità dei protocolli di sicurezza, non mancherà di inaugurare mostre e monumenti e di visitare le più importanti esposizioni nazionali e internazionali, quasi sempre commentando le opere in modo vivace e diretto insieme agli artisti e ai critici, fuori dagli schemi e dalle formalità di rito.
In questa sezione, tutte le opere selezionate sono state ricevute da Pertini mentre era alla Presidenza della Camera o della Repubblica; gran parte di esse presentano anche una dedica autografa e alcuni casi testimoniano la reputazione di Pertini al di fuori dell’Italia.

HENRY MOORE
Castelford, Regno Unito 1898 – Much Hadham, Regno Unito 1986
SENZA TITOLO anni ’40
Fotolitografia, foglio 48 x 43 cm
Come molti scultori moderni, anche Henry Moore trova nel disegno l’ideale arte sorella alle grandi composizioni in bronzo. In particolare, colpì molto e passò alla storia una serie di disegni a carboncino (a cui si può collegare anche l’opera presentata qui) raffiguranti la popolazione di Londra nascosta nei tunnel della metropolitana, utilizzati come rifugi antiaerei durante i bombardamenti nazisti della capitale britannica del 1940.
Negli anni ’50 e ’60, Moore viene riconosciuto universalmente come uno dei più importanti scultori del secolo. Nel 1948 vince il Premio Internazionale di Scultura alla Biennale di Venezia; nel 1962 partecipa con il suo unico intervento teatrale a Sculture nella città: storica mostra di sculture all’aperto tenutasi negli spazi urbani di Spoleto. Ma è soprattutto la grande mostra di Firenze del 1972, al Forte di Belvedere, a passare alla storia come la prima incursione dell’arte contemporanea in un contesto antico e monumentale come quello fiorentino.
Sandro Pertini era allora Presidente della Camera dei Deputati. La dedica autografa di Henry Moore a Pertini, annotata su questa stampa, evidentemente donata dall’artista al futuro Presidente della Repubblica, testimonia ancora una volta il rapporto diretto tra Pertini e gli artisti contemporanei: «al mio amico Sandro Pertini con i migliori auguri da Henry Moore».

ANTONI TÀPIES
Barcellona 1923 – 2012
GIALLO E ROSSO senza data
Litografia su carta, 44 x 69 cm
Firma e dedica in basso a destra
Antoni Tàpies è uno degli artisti più rappresentativi della corrente europea dell’informale. La sua personale interpretazione di questo linguaggio che libera completamente i gesti, il colore e i segni da ogni schema rigido, include diversi materiali e delle superfici che spesso ricordano i muri graffiti. Nel 1958 egli ottiene una sala personale alla Biennale di Venezia e inizia a dedicarsi alla produzione di stampe litografiche, come quella in mostra.
L’opera si basa su tre elementi essenziali: i segni rossi centrali, che ricordano l’impronta di una mano e una croce, la grande macchia orizzontale gialla, e i segni corsivi, calligrafici, numerici e pop (il cuore). Nell’insieme, dunque, una composizione fortemente dinamica e legata all’immaginario dei graffiti, della Poesia Visiva e della street art, correnti artistiche che si affermano anni più tardi, includendo parole e numeri all’interno di quadri o di murales.
L’opera è stata donata dall’artista al Presidente Sandro Pertini, cui è dedicata da una scritta autografa ben visibile, come «ricordo affettuoso di Tapies».

JOSÉ ORTEGA
Arroba de los Montes 1921 – Parigi 1990
PARA LA LIBERTAD SIEMPRE ES PRIMAVERA 1980
Inchiostri colorati su carta, 32,5 x 48,5 cm
Firma, data e titolo in basso.
Nel 1976, dopo sedici anni di esilio dalla Spagna governata dal regime fascista di Francisco Franco, durante i quali ha vissuto in Francia e in Italia, José Ortega fa ritorno in Spagna. Due anni dopo, con la morte di Franco, il paese si avvia verso la democrazia.
La visita di Stato del Presidente della Repubblica Sandro Pertini nella Spagna democratica avviene tra il 26 e il 31 maggio 1980. È allora che Ortega gli recapita questo foglio, sul quale verga di suo pugno un messaggio personale per Pertini: «Mio illustre e caro Presidente, apprendo lunedì Lei sarà nella mia Madrid. Sarà una festa per tutti gli spagnoli che hanno conquistato la libertà di cui Sandro Pertini è un costruttore. Fra gli applausi ci sarà anche il mio. Sarebbe bello poterla salutare di persona. Un abbraccio fraterno e devoto. José Ortega».
L’artista aveva condiviso con Pertini la condizione di prigioniero politico; nel 1947 era infatti stato condannato a dieci anni di carcere per opposizione al regime franchista. Rilasciato poi nel 1952, non cesserà di utilizzare l’arte del disegno e dell’incisione per manifestare la sua opposizione a ogni sopruso e privazione delle libertà.
La dedica scritta sull’opera testimonia la grande popolarità e stima che Sandro Pertini riscuoteva anche fuori dall’Italia, essendo riconosciuto come carismatico uomo politico di pace e libertà, che non esitò a impegnarsi in prima persona rischiando la vita per combattere la dittatura.

UMBERTO MASTROIANNI
Fontana del Liri, Frosinone 1910 – Marino Laziale, Roma 1998
SCULTURA POLICROMA 1975
Bronzo e smalti policromi, 33 x 44 cm
Firma in basso a sinistra
La carriera di Umberto Mastroianni è stata ricchissima di riconoscimenti internazionali, dal Gran Premio Internazionale per la Scultura nella Biennale di Venezia del 1958, al Premio Antonio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei nel 1973, poi il quarto Henry Moore Grand Prize Exhibition The Utsukshi Gahara Open Air Museum di Tokyo, nel 1985, fino al Praemium Imperiale, il più alto riconoscimento giapponese, nel 1989, e al Premio Michelangelo nel 1992.
Le opere che hanno segnato l’avvio di questo folgorante percorso di successi trovano nell’esperienza della Resistenza il momento fondativo; Mastroianni ha infatti combattuto prima come soldato nella Seconda guerra mondiale e poi come partigiano, credendo fortemente nella causa della lotta di liberazione. Da ciò si capisce il suo impegno nel realizzare alcuni fra i monumenti nazionali più significativi che ricordano quelle esperienze, come il Monumento alla Resistenza italiana a Cuneo (1969), il Monumento ai caduti di tutte le guerre di Frosinone (1977), il Monumento della pace a Cassino (bozzetto del 1974 ma opera collocata nel 1987) e il Monumento alla Resistenza della città di Urbino (1980).
Giovedì 25 luglio 1981, l’agenda presidenziale di Sandro Pertini riporta una “visita in forma strettamente privata alla Mostra antologica ‘Umberto Mastroianni’ a Forte Belvedere, Firenze”; una mostra che l’artista ricorda essere stata fortemente incoraggiata dallo stesso Presidente della Repubblica, con il quale esisteva un rapporto di stima e amicizia. A proposito del Monumento alla Resistenza italiana di Cuneo, inaugurato da Pertini nel 1969, egli affermava che «soltanto un partigiano artista poteva far rivivere nel bronzo l’epopea del nuovo Risorgimento».
Il linguaggio di Mastroianni non è figurativo in senso tradizionale, ma rievoca con forme organiche e ritmate la forza della vita e la trasformazione della materia. Egli unisce, come nell’opera qui esposta, colori semplici a forme altrettanto elementari, creando un gioco vivace di movimenti liberi ma caratterizzati da una forza interiore molto intensa.
Ricordo di Umberto Mastroianni:
«Pertini è venuto a visitare la mia casa-studio di Marino. È venuto per vedere il bozzetto del Monumento alla Pace destinato a Cassino, sopra l’immenso cimitero di guerra. Sono anni che lavoro a quest’opera colossale, un involucro lacerato e tragico, proiettato nello spazio, per ricordare la battaglia che segnò l’inizio della fine della guerra. Da dieci anni questo monumento matura, cresce dentro di me, mi ossessiona. Nasce dal ricordo della guerra, cresce alimentato dalla violenza quotidiana, dalle preoccupazioni per il futuro dell’uomo. […]
Pertini mi spronava a finire il monumento, mentre continuava a osservare il grande bozzetto per Cassino. Lo elettrizzava pensare che la pace avrebbe avuto il suo monumento, ai piedi dell’abbazia benedettina, che era stata il faro della civiltà moderna, nel buio Medio Evo.
“Maestro, sono preoccupato, dopo infiniti massacri non abbiamo ancora trovato la strada giusta per vivere in pace. Siamo ancora impotenti. Non riusciamo a creare una convivenza civile, anche se siamo diversi. Sovrastrutture arcaiche, ideologie superate intimidiscono perfino le nostre facoltà legislative, che non sono certo poche, ma assolutamente impari davanti a certe forze negative della storia”. E intanto batteva irosamente la pipa, stretta nella mano scarna, sul piedistallo, quasi a dare forza alle sue parole. “Qui, in questo tuo studio, respiro un’aria ristoratrice, le tue opere, il tuo impegno civile mi rasserenano”».
Il Mito
Attraverso il suo esempio, la sua storia, la sua attività pubblica e, prima di tutto, l’integrità del suo lavoro, Sandro Pertini ha influenzato positivamente generazioni non solo di politici ma anche di cittadine e cittadini, in Italia e nel mondo. Il suo carattere schietto e la capacità di instaurare subito una comunicazione alla pari con i suoi interlocutori, insieme a comportamenti spontanei e informali, divenuti iconici, hanno contribuito a fare di Pertini un vero e proprio mito popolare.
Nella sua collezione d’arte, accanto alle opere di soggetto politico o di temi legati alle esperienze vissute da Pertini durante gli anni del regime e della liberazione, vi sono quadri e sculture che testimoniano “l’occhio” acuto del Pertini conoscitore e appassionato d’arte; immagini talmente forti e attuali nel loro impianto visivo, aggiornate e decisamente moderne per l’epoca, da farci capire quanto Sandro Pertini le sentisse vicine e coerenti al suo modo di interpretare la comunicazione e l’azione politica: dinamica, dirompente, concreta e coinvolgente.
Le due opere di Giulio Turcato e Giò Pomodoro scelte per questa sezione conclusiva possono ben esemplificare questa natura e la consacrazione a mito di Sandro Pertini.

GIULIO TURCATO
Mantova 1912 – Roma 1995
ASTEROIDE senza data
Tecnica mista su tela, 70 x 99,5 cm
Firma in basso a destra e titolo sul retro
Quest’opera, riconducibile agli anni ’60, offre una visione fortemente impattante della forza comunicativa della pittura astratta di Giulio Turcato. L’artista mantiene infatti l’obiettivo di creare immagini chiare e pulite, pur nei violenti contrasti cromatici ed espressivi tra la “macchia” in primo piano e la stesura piatta dello sfondo.
Per Turcato l’arte è una possibilità attuale per esplorare le diverse facoltà umane che trovano sfogo nell’indagine scientifica e nella comprensione della natura e dell’universo, come dimostra la serie di dipinti sugli asteroidi di cui quest’opera fa parte. Qui le influenze dell’informale materico e gestuale internazionale (alimentato dai suoi viaggi in Cina e dalla conoscenza degli espressionisti astratti nordamericani) si mescolano alle esperienze italiane dell’Arte Nucleare e dello Spazialismo.
Il rapporto con Pertini è alimentato dalla comune passione per le proprie convinzioni e idee, che spesso li hanno fatti incontrare e condividere momenti di accesi confronti.
Durante la visita ufficiale del Presidente della Repubblica alla Biennale di Venezia del 1982, ad esempio, Sandro Pertini si mise a chiamare ad alta voce Turcato per tessere le lodi delle opere che egli aveva in collezione.
Ricordo di Renato Barilli sulla visita di Sandro Pertini alla mostra L’immagine del socialismo nell’arte, nei manifesti, nelle bandiere (Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1982):
«E proprio di fronte a un’opera di Turcato […] ci fu l’happening-clou dell’intera visita. Infatti Turcato, pessimo carattere, come è noto, sulla lunghezza d’onda di quello del Presidente, temendo che noi allestitori non avessimo rispettato a dovere le sue indicazioni, si era insinuato nella stanza, anche qui contravvenendo alle regole assurde del servizio d’ordine (che voleva il vuoto, sui passi di Pertini togliendoli il piacere del dialogo, della botta e risposta). Subodorai subito che le cose si mettevano male, e cercai di indorare la pillola giocando d’anticipo, con un conciliante: “Ecco qui il nostro Turcato”, al che l’artista, stizzito, rispose: “Nostro un corno, guarda qua come mi hanno disposto male”. Ci fu un momento di gelo, ma Pertini colse a volo la battuta replicando: “Hai ragione, Turcato, se non ti va bene, prendi il tuo quadro e vattene!”. I due “ragazzacci” avevano ritrovato immediatamente un momento di solidarietà contro l’ordine stabilito».

GIÒ POMODORO
Orciano di Pesaro 1930 – Milano 2002
SOLE E ARCHITRAVE 1989
Bronzo patinato 34 x 34 cm
Fin dagli anni ’60 la scultura di Giò Pomodoro si è caratterizzata per una ricerca sulle forme geometriche e sulle armonie nei rapporti di proporzione. Negli anni ’80, in particolare, l’artista si concentra sulla “sezione aurea”, chiamata anche “divina proporzione” in quanto consiste in un rapporto costante tra le dimensioni che dona alle forme e ai corpi una solida armonia visiva, presente anche all’interno degli elementi naturali, vegetali e animali, o nelle dinamiche astrali (ad esempio, la crescita a spirale di certe conchiglie e carapaci, o l’andamento spiralato delle galassie).
Nell’opera di Pomodoro queste tensioni geometriche e proporzionali convivono con elementi simbolici, riuscendo così a trasmettere messaggi e sensazioni poetiche in composizioni universali.
Quest’opera, che risente di questa specifica ricerca iniziata negli anni ’80, coincide con un anno altamente significativo per il mondo: tra gli altri avvenimenti importanti, nel 1989 viene abbattuto il Muro di Berlino, emblema della divisione tra mondo occidentale europeo e atlantico e blocco sovietico dominato dalla Russia comunista, e viene lanciato il World Wide Web, il sistema di connessione internet che ancora oggi tutti usiamo.
Il titolo Sole e architrave è un binomio che associa la luminosità, l’energia vitale e la speranza del sole, all’impianto solido e portante dell’architettura, indispensabile al mantenimento della protezione e della sicurezza della casa e del suo varco d’ingresso (l’architrave è l’asse orizzontale che viene posto sopra a porte e finestre per scaricare il peso della struttura sulle spalle laterali e consentire l’apertura dei varchi nelle pareti murarie).
Per tutte queste ragioni, quest’opera è stata posta a conclusione del percorso espositivo su Sandro Pertini e il suo rapporto con l’arte: alla fine degli anni ’80 l’ex Presidente è ormai un personaggio di riferimento internazionale, la cui storia assume i tratti del mito. Un astro che illumina e un architrave che sorregge.




