Yona Friedman raccontato da Niccolò Casiddu, Direttore del DAD, Università di Genova

di Tiziana Casapietra

3 Agosto 2021

Questa conversazione con Niccolò Casiddu, Direttore del Dipartimento Architettura e Design (DAD) dell’Università di Genova, fa parte del progetto “Dentro la città in ceramica di Yona Friedman” ideato da Tiziana Casapietra e realizzato dal Museo della Ceramica di Savona e lo stesso DAD con l’intento di proporre una visita virtuale alla città in ceramica di Yona Friedman oggi parte della collezione permanente del Museo. Un ringraziamento speciale va al Fonds de Dotation Denise et Yona Friedman e Jean-Baptiste Decavèle per il loro prezioso contributo e ad Hans-Ulrich Obrist per aver invitato Yona Friedman alla Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea del 2002 durante la quale Friedman ha prodotto l’opera in ceramica “Città”.

Tiziana Casapietra: Niccolò, intanto volevo dirti che sono molto contenta di questo lavoro. È stato un po’ un dispiacere non poter mettere subito in funzione gli occhiali virtuali per ovvie ragioni di pandemia. Con te oggi vorrei che tornassimo indietro, a quell’anno in cui io ti ho chiesto se ti sembrava interessante poter entrare dentro la città di Yona Friedman, per poterla vivere da dentro, fruirne come se fosse una vera e propria città in ceramica. Mi piacerebbe sapere quello che hai pensato, come hai lavorato, come hai approcciato questo progetto, se sei contento del risultato. Insomma, vorrei che mi raccontassi il tuo punto di vista.
Niccolò Casiddu: Quando mi hai parlato di questa idea di dare una fruibilità supplementare e contemporanea all’opera di Yona Friedman è stato subito un input che ha aperto la strada a sfide interessantissime, quanto particolarmente affascinanti. Dirigendo un dipartimento di architettura e design, attraverso questo progetto mi hai dato l’opportunità di poter avvicinare all’istituzione l’opera e il pensiero di un maestro moderno, contemporaneo, con un sguardo visionario e aperto al futuro. L’idea di poter provare a utilizzare gli strumenti che la tecnologia contemporanea ci offre per rendere sempre più avvicinabile e fruibile il pensiero di Yona, è stato immediatamente qualcosa di molto sfidante, da un lato, ma altrettanto affascinante, dall’altro. L’oggetto in sé si prestava particolarmente a questo processo perché si tratta di un’opera di architettura tradotta in un modello artistico in ceramica. Il fatto di essere un modello tridimensionale già quasi ti sprona a poter visitare il lavoro e a poterci entrare all’interno, ma la sua dimensione ovviamente non lo consente, così come la delicatezza dell’opera in sé. Attraverso l’utilizzo di questi visori per la realtà virtuale e altri strumenti di diverso livello di sofisticatezza tecnologica, abbiamo lavorato sulla possibilità di entrare dentro, di vivere, di abitare i luoghi immaginati dal maestro. È qualcosa di molto interessante e, non appena supereremo questo periodo di restrizioni nei contatti, ritengo che fruire di questa esperienza di immersione possa rappresentare per tutti i visitatori e per quanti si avvicineranno all’opera una vera opportunità di crescita, guidati dal messaggio di Yona. Sicuramente per quanti hanno lavorato per generare questo supporto è stata un’esperienza straordinaria; si tratta di un gruppo di giovani ricercatori del dipartimento che si sono impegnati per rendere fruibile l’opera di Yona con questo sistema di realtà virtuale che ha richiesto l’utilizzo della grafica tridimensionale e della digitalizzazione. Tutto questo ha dato a chi ci ha lavorato un arricchimento straordinario e credo che, nel momento in cui i fruitori potranno utilizzare gli strumenti e provare a entrare dentro l’opera, si percepirà. Elaborare questo prodotto ha implicato un’elaborazione tecnica molto raffinata e sofisticata. E poi c’è anche quel qualcosa in più, quello stimolo che è quasi un sentimento, che deriva dal contatto con l’opera e il messaggio di Yona veicolato tramite il piccolo capolavoro che è nel museo. Questo è un po’ il percorso che è stato fatto. 
Ovviamente siamo poi entrati nel periodo della pandemia, quindi è stato un percorso un più accidentato di quello che avrebbe dovuto essere. Però anche questo ci ha condotti a cercare strumenti di fruizione dell’opera che in grado di superare i limiti e i vincoli dati dalle norme di distanziamento, di sicurezza, di igienizzazioni dovute alla pandemia. Quindi al di là dello strumento primo, che è il visore per la realtà virtuale, si sono individuati altri strumenti che possono restituire ugualmente l’esperienza, che possono addirittura essere autocostruiti, proponendo un’esperienza nell’esperienza, un fare per poter utilizzare lo strumento e quindi entrare all’interno di questo luogo che da un lato è onirico, un po’ per come lo ha immaginato Yona, ma anche molto pratico, perché si tratta di una vera città. Nel momento in cui ci si va dentro, si ha anche — pur nel virtuale — quasi una sensazione di fisicità dei luoghi nei quali ci si sta muovendo e nei quali ci si sta orientando.

TC: Mi piacerebbe farti una domanda su quello che è stato l’insegnamento di Yona Friedman. In quanto direttore di un dipartimento universitario che si occupa di architettura, ti pare che questi suoi insegnamenti orientati non tanto alla celebrazione dell’architettura quanto alla celebrazione dell’esistenza, della vita dentro l’architettura, siano stati adottati o visti con sospetto? Qual è la relazione tra l’architettura e la progettazione architettonica contemporanea e gli insegnamenti di Yona Friedman?
NC: Vedi, io ora ti darò una risposta del tutto personale, influenzata da come ho appreso io l’insegnamento di Yona Friedman e per come lo vedo riportato al 2021. Per quanto lo interpreto io, Yona è stato a tutti gli effetti un precursore. E come tutti i precursori ha rischiato di fare una brutta fine, perché da sempre un precursore arriva un attimo prima, un attimo prima di quanto possa essere compreso, di quanto possa essere accettato, di quanto possa dare effetti immediati, riscontri immediati il suo pensiero, la sua opera. Però senza precursori non ci sarebbe progresso e quindi in tutti questi casi bisogna avere quell’attimo di pazienza e attendere che i tempi maturino. Prendiamo, ad esempio, qualcosa che oggi è un po’ sulla bocca di tutti come il New European Bauhaus. Lo stesso messaggio della von Der Leyen parla di bellezza, di sostenibilità e di inclusione. Quando la presidente ha proposto questo percorso per guidare la nuova prospettiva dell’Europa per gli anni trenta, a me piace pensare che questa sua idea derivi dell’aver letto e dall’aver visto qualcosa di Yona perché nella sua opera c’era già tutto; lui aveva già previsto tutto questo in tempi non sospetti quando nessuno ne parlava. Vorrei sottolineare la sua attenzione su aspetti come l’inclusione e la partecipazione, sull’idea della sostenibilità di quello che si fa, sulla localizzazione anche in situazioni che probabilmente non portano alle copertine delle riviste più patinate. Nel suo lavoro c’era già tutto. Se si ha la calma di guardare i meravigliosi disegni di Yona, ascoltare le sue interviste o leggere il suo pensiero si ritrova quella che oggi sappiamo essere l’unica strada possibile da percorrere per i prossimi anni. Questo è quello che io vedo e ritrovo essendomi avvicinato all’opera di Yona. E questo per me è stato innanzitutto un grande arricchimento personale. Vedere il riscontro di come oggi quello che lui aveva detto sia dato quasi per un fatto consolidato e irrinunciabile, mi fa dire che il precursore ci aveva visto giusto e lungo, a suo tempo.

TC: Va bene. Ti ringrazio Nicolò.


Il progetto “Dentro la città in ceramica di Yona Friedman” è il risultato di una collaborazione tra

                     

Con il sostegno di


Redazione a cura di Giulia Macchiarella

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