”Fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso di unguenti. Nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non aver paura. Lo teme ogni essere più altero; egli è il re su tutte le bestie più superbe.” Con queste parole Giobbe nel suo Libro descrive il Leviatano, il terribile mostro marino tra le cui fauci cade il malcapitato Giona nell’episodio biblico ritratto sulla superficie di questo vaso.
Il vaso fa parte di una serie ispirata alle storie vetero testamentarie abbinate a soggetti mitologici. La decorazione del tipo ”istoriato rinascimentale” corre senza soluzione di continuità sulla superficie della maiolica ad esclusione dell’interruzione del cartiglio, che anteriormente suddivide la narrazione in due scene distinte e termina sul retro, ai livelli dell’imposta inferiore delle anse, replicandosi elegantemente in forma di pergamena goticheggiante. La storia di Giona è dipinta in policromia, nei colori giallo antimonio, verde ramina e blu cobalto. In alto, è descritto il momento in cui il profeta, scagliato dai marinai fuori dalla nave, sta piombando tra i flutti dove lo attende il mostro marino con le fauci spalancate e pronto a inghiottirlo. In basso, le onde sono miracolosamente placate e Giona, in piedi sulla bocca spalancata del mostro, sta per essere riconsegnato alla terraferma sulle cui rive sono raffigurati cinque giudei e, in lontananza, gli edifici di una città fortificata. Le spire anguiformi proseguono sul retro del vaso dove, incorniciati dalle pieghe del cartiglio, si trovano due figure armate in posa, con lorica, calzari, cimieri piumati scudi e picche. Sovrasta un borgo con edifici attraversato da un lungo ponte a sei arcate.
Il decoratore di questi vasi reinterpreta con efficace immediatezza il linguaggio iconografico che andava formandosi a opera dei pittori di scuola genovese tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento. Non bisogna però trascurare il repertorio di incisioni tratte da importanti artisti rinascimentali che continuano a godere di una larga popolarità nelle manifatture di maiolica savonesi e albisolesi. Si veda l’esempio del mostro marino il cui preciso riferimento è in Giona e la balena, incisione a bulino attribuita a Luca Ciamberlano (A. Bartsch, Le peintre graveur, Vienna 1818, XX vol., 29.1), a sua volta desunta dalla stampa Andromeda, realizzata da Agostino Carracci attorno al 1594-95 e appartenente alla serie di tredici detta delle Lascivie (A. Bartsch, The illustred Bartsch, Italian Master of the sixteenth century, Agostino Carracci, p. 319, n. 199). Particolarmente efficace nell’improntare l’operato dei decoratori su ceramica risulta l’attività di Bernardo Castello, al quale si debbono le illustrazioni della prima edizione illustrata della Gerusalemme liberata.
Nella inconsueta scena marina colpisce il dinamismo delle onde sconvolte dallo scatenarsi degli elementi per la presenza del mostro evocato dagli abissi, la cui rappresentazione fantastica affonda nella imagerie popolare medievale. Il vento gonfia la velatura dell’imbarcazione, resa con precisione di dettagli nautici. Colpisce al proposito la descrizione dettagliata della nave, che contrasta con le raffigurazioni stereotipe di imbarcazioni che ritroviamo su molte delle maioliche del secolo XVII.
Il Barile, nella Mostra dell’antica maiolica ligure del 1950, avanza per questa ceramica una datazione al XVI secolo assegnandola a fabbrica albisolese-urbinate, salvo posticiparle al secolo successivo nel volume del 1965. Cameirana (1992) suggerisce di riferire la loro fabbricazione a una manifattura del comprensorio savonese operante tra l’ultimo quarto del Cinquecento e gli inizi del Seicento e nota come il decoro trovi riscontro “nelle maioliche cinquecentesche dell’Italia centrale e in Francia, in particolare a Lione, a opera di decoratori italiani”. Per una datazione alla seconda metà del XVI secolo farebbe propendere il peso di queste idrie, considerevole se confrontato coi prodotti del secolo successivo, mentre anche la loro morfologia, ispirata ai manufatti manieristi in metallo o pietre dure, risulta coerente con una possibile esecuzione negli ultimi anni del Cinquecento. L’illustrazione dell’episodio biblico manifesta una sorta di animato realismo, libero da clichè, capace di convertire in verve narrativa quegli elementi che nel corso del Seicento si semplificheranno divenendo repertorio.
A una assegnazione a una fabbrica di Savona o Albisola fanno propendere la presenza in nuce di elementi che verranno introdotti nella successiva decorazione delle ceramiche liguri, come le montagne dalle dorsali inclinate o le figure degli armati, che tanta fortuna riscuoteranno nella maiolica di età barocca, la cui rappresentazione denota un esercizio ormai consolidato. A produzione savonese o albisolese riconduce, infine, la libertà espressiva dell’ignoto pittore capace di utilizzare la forma del supporto come spazio per l’evolversi di un racconto in cui trasfondere la propria visione emozionale, con pennellate sciolte che corrono a riempire le linee di contorno, senza eccessivamente curarsi di raggiungere quella diligente precisone che contraddistingue la fissità delle perfette, smaltate campiture dei maestri dell’Italia centrale. Si può pertanto avanzare l’ipotesi che queste idrie siano esempi di quella produzione documentata dalle fonti savonesi come “a istorie di Testamento Vecio” (Rossetti 1992, p. 161; Cameirana 1992, p. 165) che è probabile abbia avuto a Savona e Albisola una importanza assai maggiore rispetto all’effettivo riscontro dei pochi manufatti a oggi conservati.
Questa ceramica è esposta nella sala 5 del Museo della Ceramica.
Produzione: manifattura di Savona o Albisola
Materiale: maiolica
Dimensioni: h. 47 cm, l. 35 cm
Iscrizioni: “Aq. Lactuce”
In comodato dalla Fondazione “A. De Mari”
Bibliografia: A. Cameirana, ”Maioliche decorate a grottesche ed istoriate nella ceramica savonese della seconda metà del ‘500”, in “Atti del XXV Convegno Internazionale della Ceramica”, Albisola 1992, Firenze 1995, pp. 165 – 170; A. M. Rossetti, ”Ceramica a Savona ed Albisola nella seconda metà del Cinquecento. Produzione e commercio”, in “Atti del XXV Convegno Internazionale della Ceramica”, Albisola 1992, Firenze 1995, pp. 149 – 164.