Una conversazione con Marianne Polonsky Friedman su suo padre Yona Friedman

di Tiziana Casapietra

3 Agosto 2021

Questa conversazione con Marianne Polonsky Friedman fa parte del progetto “Dentro la città in ceramica di Yona Friedman” ideato da Tiziana Casapietra e realizzato dal Museo della Ceramica di Savona e il DAD (Dipartimento Architettura e Design) dell’Università di Genova con l’intento di proporre una visita virtuale alla città in ceramica di Yona Friedman oggi parte della collezione permanente del Museo. Un ringraziamento speciale va al Fonds de Dotation Denise et Yona Friedman e Jean-Baptiste Decavèle per il loro prezioso contributo e ad Hans-Ulrich Obrist per aver invitato Yona Friedman alla Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea  del 2002 durante la quale Friedman ha prodotto l’opera in ceramica “Città”.

Tiziana Casapietra: La prima cosa di cui vorrei parlare è il rapporto che avevi con tuo padre e gli insegnamenti sulla vita che hai appreso da lui. Cosa puoi condividere con noi di questi insegnamenti? Sono rimasta molto colpita dal modo in cui si è avvicinato alla nostra comunità, dalla sua umiltà, dalla sua apertura. È sempre stato molto gentile e amichevole con tutti.
Marianne Polonsky Friedman: Grazie, per me è molto più facile parlare di lui come padre, anche se il suo modo di ricoprire questo ruolo era permeato dal fatto di essere un pensatore. Non credo che un pensatore possa essere padre senza trasmettere i suoi pensieri ai propri figli. Sono cresciuta con i miei genitori, con mio padre e mia madre a Parigi nel famoso appartamento di Boulevard Garibaldi. Penso di aver assistito praticamente a tutto ciò che lui ha creato e pensato. Naturalmente, essendo all’epoca una bambina non mi rendevo davvero conto del significato di quello che vivevo, percepivo l’atmosfera e vedevo le persone che venivano a farci visita. Persone importanti frequentare la nostra casa, l’appartamento, ma io non me ne rendevo conto, ero una bambina. Una cosa interessante, una lezione di vita per me, è che venivano a trovarci anche tante persone che non conoscevamo. Vivevamo proprio di fronte all’ascensore della metropolitana; mio ​​padre amava moltissimo i treni e abbiamo avuto l’opportunità di prendere questo appartamento che si affacciava sull’ascensore della metropolitana. Per mio padre era il paradiso; ci trovavamo al 4° piano, proprio allo stesso livello dell’ascensore. Le persone che viaggiavano in metropolitana vedevano le nostre finestre che papà aveva ovviamente decorato alla “maniera di Friedman”. Così i passanti scendevano appositamente dalla metropolitana, lo giuro, e venivano a visitare l’appartamento che avevano intravisto. Questo succedeva quando ero piccola, non c’erano tutte queste porte blindate e codici di sicurezza che ora sono ovunque; le persone potevano semplicemente salire nell’edificio, aprire la porta, andare nel corridoio e capire che si trattava del 4° piano. A quel punto arrivavano, suonavano e si presentavano.

TC: Ma intendi perfetti sconosciuti?
MPF: Persone che non conoscevamo, che avevano preso la metropolitana; di solito erano giovani, magari con un look un po’ artistico, studenti. Si trattava, come diceva papà, dell’uomo comune. Non l’uomo medio, ma l’uomo comune. Uomini e donne. Si presentavano alla porta e dicevano: “ho visto le finestre dalla metropolitana, va bene se do un’occhiata dentro?”. E mio padre rispondeva “sì, certo” e faceva un giro dell’appartamento insieme a loro. Questo succedeva di continuo quando ancora non c’erano le porte blindate; poi ovviamente non è più successo quando le cose sono cambiate. Ma questa era la filosofia di vita che ho appreso da mio padre. Diceva sempre che Le Corbusier lo incontrò nel 1949 durante il suo primo viaggio in Europa. Mio padre si trovava in Israele dopo la Seconda Guerra Mondiale. Divenne un rifugiato e andò in Israele perché era lì che si recavano gli ebrei in quel periodo, e così andò in quella che allora era la Palestina. E ha sempre raccontato che nel 1949 visitò per la prima volta l’Europa occidentale, la Francia, e scrisse a Le Corbusier per chiedere un appuntamento. Benché mio padre fosse uno sconosciuto, un architetto israeliano neolaureato, Le Corbusier lo incontrò. Per questo mio padre amava dire che come Le Corbusier aveva incontrato lui, allo stesso modo lui poteva incontrare chiunque. Questo rimase il suo motto per tutta la vita, anche quando era da me qui a Los Angeles incontrava tutti. Voglio dire, chiunque poteva venire a casa mia, nella casa di famiglia, sempre. Per mio padre tutti avevano lo stesso identico valore e penso che per me sia stata un’ottima lezione. A lui dava soddisfazione sapere che persone di diversa formazione fossero interessate a parlare con lui. Questo gli permetteva anche di mantenersi in contatto con i giovani. Mio padre aveva un legame straordinario con i giovani.

TC: Sì, ho capito. Come dicevo quando sono andata a vedere la sua mostra al Museo MaXXI di Roma, sono rimasta molto colpita da alcuni video che ritraevano Yona mentre parlava. Aveva già più di 90 anni ma i suoi occhi erano così vivi e pieni di energia. Sembravano gli occhi di un bambino, pieni di speranza…
MPF: …e di eccitazione, ribollivano costantemente.

TC: Sì, ne sono rimasta molto colpita. Yona era sempre divertito dal mondo.
MPF: …con tutti, proprio con tutti. Non si è mai considerato un novantacinquenne. Non aveva età.

TC: Sì, era totalmente senza età. Mi sono sempre chiesta come possa una persona così proteggersi da un mondo talmente violento e brutale.
MPF: Ha sempre avuto un aspetto fragile, ma è stata una persona molto forte, questo devo dirlo.

TC: È bello sentirlo!
MPF: Non ne abbiamo mai veramente parlato, perché in casa era un dato di fatto che fosse una persona forte. Ma a pensarci, credo che fosse letteralmente vaccinato contro il mondo. Ha vissuto l’era nazista dall’età di 10 anni. È nato nel 1923 e nel 1933 venne emanata la legislazione antiebraica. Quindi, dal 1933 fino alla fine della guerra, ha vissuto nel nazismo. E poi, fino al 1949, ha vissuto la guerra di indipendenza israeliana.  Se ci pensi, per 16 anni ha vissuto in uno stato di caos, intolleranza, violenza, uccisioni di massa, paura, bombe. È stato arrestato e imprigionato dalla Gestapo per 2 mesi, quindi ritengo che dopo aver vissuto tutto questo, sei vaccinato. E si diventa ciò che lui è diventato. Non voglio definirlo un profeta, ma un visionario che guarda al futuro, proprio come ha fatto lui. Mio padre non ha mai guardato al passato, ha sempre guardato al passo successivo. 

TC: Allora, qual è linsegnamento principale che hai ricevuto da lui?
MPF: Ho ricevuto tre insegnamenti, non sono elencati in ordine di importanza ma così come mi vengono in mente. Ieri era la Giornata della Terra e ho postato un testo e alcune immagini su Instagram. Mio padre aveva iniziato a pensare al cambiamento climatico nel 1973 durante la crisi petrolifera, aveva cominciato a riflettere su quello che stava succedendo. Ha scritto il libro “Alternative energetiche” pensando al cambiamento climatico ed eravamo alla fine degli anni ’70. 
Quindi quello che ho imparato in questa occasione è stata la perseveranza e il non arrendersi quando pensi che sia giusto perseguire la tua idea. Lui era in anticipo di 50 anni.

TC: Sì, lo so anche quando leggo i libri…
MPF: E lui ne era consapevole, il che penso sia fantastico. Ne era consapevole. Sapeva di essere nel giusto e non si è arreso. Ha anche realizzato il “Metropole Europe”, il concetto che con il trasporto pubblico rapido ogni città sarebbe diventata un sobborgo di un’altra città. Bruxelles sarebbe diventata il sobborgo di Parigi, Londra il sobborgo di Parigi. Ogni città, diceva, sarà collegata l’una all’altra e le persone potranno spostarsi tra le città per lavoro con una sorta di sistema di metropolitane. La gente lo prendeva in giro così tanto, ma lui aveva ragione. Parigi oggi è a 2 ore e mezza da Londra. Puoi letteralmente andare a lavorare a Londra. E lui sosteneva queste cose negli anni ’70 e ’80, quindi questo è quello che ho appreso. Ho imparato che quando hai un’idea e pensi davvero che sia giusta, anche se le persone ti ridicolizzano, anche se ti prendono in giro, devi restare fedele alla tua strada. Questa è una delle cose che ho imparato.
Così ho imparato la perseveranza. L’altra cosa di cui penso abbiamo parlato, era l’idea che le catastrofi portino a un miglioramento. Mio padre era molto interessato alla fisica, probabilmente hai letto il suo libro “The Erratic Universe”. Amava la fisica da cui ha tratto l’idea che il caos e la catastrofe conducano al miglioramento. Nella fisica c’è questa legge del disordine. È quasi shakespeariano, il caos porta alla catarsi e questo l’ho imparato da lui. Da un punto di vista pratico, ancora una volta, dobbiamo ricordare che quest’uomo ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale da ebreo, è stato arrestato dalla Gestapo ed è riuscito a malapena a scappare; è sopravvissuto per qualche miracolo incredibile, ha vissuto come rifugiato, ha vissuto una quantità incalcolabile di catastrofi, eppure non solo è sopravvissuto, ma ha tratto insegnamento da questi eventi.  Quindi questa è la seconda cosa che ho imparato. Ho appreso che le catastrofi possono rappresentare degli insegnamenti per la nostra anima e di solito lo sono.
E ora parlerò dell’ultima cosa molto importante che ho imparato da mio padre. Di nuovo, non le sto elencando in ordine di importanza. Alcune persone conoscono mio padre come architetto, alcune persone conoscono mio padre come sociologo, alcune persone conoscono mio padre per il cinema e per aver realizzato dei film. È interessante che se dici a qualcuno “oh sì, mio ​​padre non era solo un architetto, ha fatto un film, ha inventato una nuova tecnica di animazione e ha vinto il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1962”, la gente risponde “oh davvero?”. Mio padre mi ha insegnato che non devi essere una cosa sola, ma tante cose insieme. Non è perché sei un architetto che non puoi realizzare film o non è perché fai film che non ti puoi interessare di sociologia o architettura. 
Mio padre era davvero un uomo del Rinascimento, la quintessenza dell’uomo rinascimentale. E la cosa che mi ha insegnato, collegata a questo, è la curiosità. Diceva che la cosa più importante è essere curiosi. Quindi mi ha insegnato l’amore per la curiosità e per l’esplorazione. In ultima analisi, la sua stessa filosofia dell’architettura riguarda il processo, non riguarda il risultato, non riguarda il costruire, riguarda l’invenzione, l’immaginazione, l’improvvisazione. Ha sempre detto, se qualcosa non funziona, riprova, non è la fine del mondo. È qualcosa di importante, penso.

TC: Ma viviamo in un mondo che sta andando in una direzione totalmente diversa, dove dobbiamo essere sempre performativi, migliori e al top.
MPF: Perché tutto è focalizzato sul fine, mentre mio padre si concentrava sul processo. Penso che ci siano tre cose che ho osservato a casa: la prima è che lui sapeva di avere ragione, la seconda è che il ruolo di mia madre non è mai stato discusso. Mia madre era una straordinaria fonte di sostegno e forza mentale. Ogni volta che lui iniziava a dubitare di se stesso, lei lo incoraggiava. Mio padre ha sempre detto che senza mia madre lui non sarebbe stato quello che era. Inoltre, mio padre aveva un’incredibile etica del lavoro. Ha sempre lavorato tantissimo. Traboccava di idee, scriveva e disegnava sempre, costantemente, tutto il tempo; ma i suoi non erano scarabocchi, pensava e continuava a registrare i suoi pensieri. Ho così tanto materiale, appunti, scritti. Considerando la realtà in cui viviamo, solo l’anno scorso o l’anno prima di morire, mio padre ha osservato che il mondo è cambiato così radicalmente che oggi è possibile pensare a un’architettura senza costruzioni. Non è più necessario costruire città, probabilmente hai sentito parlare anche di questo. Le città erano state pensate dagli uomini del Medioevo per proteggersi a vicenda. Ora abbiamo Internet, non abbiamo bisogno di ampi sistemi autostradali, grosse concentrazioni di edifici, ora possiamo vivere più distanziati. Ci sono le consegne a domicilio, c’è Internet, c’è la comunicazione… Tu sei in Italia, io sono a Los Angeles. Lui aveva previsto tutto. Aveva la capacità di vedere cosa stava per succedere. E sapeva di avere ragione, ma questo non lo chiamerei narcisismo perché mio padre non lo era.

TC: No, non lo era.
MPF: Ma c’era qualcosa di profondo che lui conosceva. Lui sapeva. Ecco perché dico che non era un profeta ma sapeva e poteva vedere cosa sarebbe successo. Quindi, la sua etica del lavoro, di lavorare costantemente e scrivere ciò che pensava; forse anche la fiducia in se stesso, perché si rendeva conto di avere un valore. E penso che è qui che torniamo a mia madre, perché lei gli ha fatto sentire che quello che diceva aveva un valore, aveva un’importanza. La sua forza di volontà, non ho mai visto un istinto di sopravvivenza così, non ho mai visto niente di simile. Ecco perché dico che era molto forte. Quindi c’era la fiducia in se stesso a cui contribuiva mia madre, il fatto di essere consapevole di essere nel giusto; la sua forza di volontà e la capacità di concentrarsi; e al numero tre, cosa più importante, c’è che abbiamo sempre riso, abbiamo riso tanto! Sono felice che abbia vissuto così a lungo da vedere le persone arrivare per dirgli che aveva ragione e attribuirgli il valore e il riconoscimento che meritava. Pensa che è nato cinque anni dopo la fine della prima guerra mondiale, in Austria-Ungheria, subito dopo la fine dell’Impero.

TC: Cosa pensava di come fosse cambiato il mondo nel corso di tutti questi anni?
MPF: Ne parlava con una sorta di stupore. Non era stupito dei cambiamenti, perché in realtà aveva previsto Internet e i sistemi ad alta velocità, come puoi leggere in alcuni suoi libri. Quindi non era sorpreso, perché aveva visto questi cambiamenti arrivare. Ma diceva, “pensa che quando sono nato io Francesco Giuseppe era appena stato detronizzato”. Parlavamo dei suoi ricordi d’infanzia come la carrozza di suo nonno. Raccontava che quando era un ragazzino, parliamo del 1929/1930, si divertiva a stare seduto nella carrozza parcheggiata nel deposito — a quei tempi la carrozza era come avere un’auto — e immaginava di viaggiare per il mondo. Quando era piccolo se gli chiedevano cosa volesse diventare da grande, lui rispondeva “uno straniero, un viaggiatore”. Non è interessante? Quindi, penso che abbia guardato al cambiamento non con stupore, nel senso di “oh mio Dio”, perché in fondo lo aveva previsto, ma con incredulità come per dire “è incredibile, guarda cosa ho visto”. Pensa che lui ha volato in aereo nel 1949, era piuttosto presto.

TC: Molto costoso rispetto ad ora.
MPF: Sì, era davvero qualcosa di molto grande. È andato in Francia in aereo da Israele. Quando era un architetto praticante in Israele si guadagnava da vivere molto bene. Probabilmente è stata l’unica volta nella sua vita in cui guadagnava bene, quando era un architetto praticante.

TC: È così strano sentirlo. Perché ovviamente quando pensiamo a tuo padre, per noi è stato un uomo di grande successo.
MPF: Era un uomo di grande successo, ma il suo non era un successo finanziario. Innanzitutto, non era interessato a monetizzare il suo lavoro, le sue idee. Non era interessato a fare soldi. Sarebbe stato bello guadagnarsi da vivere bene, ma non si può avere tutto. Ed è lì che il supporto di mia madre è stato fondamentale, gli ha permesso di continuare le sue ricerche e i suoi studi senza essere sottoposto ad alcun tipo di autorità o pressione. Cos’altro potrei dirti? Oh, ho una storia da raccontarti! Quando ero piccola, i miei genitori mi portavano sempre con loro, ovunque, eravamo sempre tre persone insieme. Quando mio padre veniva invitato da qualche parte, di solito gli veniva offerto un biglietto in business class o un biglietto a prezzo intero, che i miei genitori trasformavano in tre biglietti charter. Così, quando avevo undici anni nel 1972, sono andata in India con i miei genitori proprio con quel sistema: mio padre era stato invitato in India con un biglietto a prezzo intero che ha trasformato in un charter. Ricordo che siamo andati da Parigi a Roma, ad Atene, a Teheran, a Delhi. Questo per dirti che con il charter era come saltellare da un posto all’altro. E qualcuno ha commentato che il fatto di viaggiare così tanto, in quegli anni, rendesse il nostro stile di vita molto lussuoso, ma mio padre ha risposto: “no no no, noi siamo proletari di lusso”.

Poche settimane dopo….

MPF: Da quando abbiamo parlato, ho ripensato a ciò che ho trovato davvero rilevante di mio padre e che credo possa essere utile ai giovani, ma anche a tutti gli altri, ascoltare. La prima cosa è che penso che mio padre fosse davvero un uomo degli anni ’60, un uomo del dopoguerra. In quel periodo c’era un’ondata di ottimismo, di speranza e di fiducia nell’umanità. Dopo le guerre mondiali e dopo tutto quello che è successo, penso che quella generazione vedesse il mondo come se fosse pieno di possibilità e di opportunità, affinché le persone potessero fare meglio ed essere migliori. Quello che penso sia interessante di mio padre è che è rimasto tutta la vita un uomo degli anni ’60, non perché fosse hippy, non lo era per niente, ma per il suo ottimismo, per la sua speranza e per la sua visione positiva del mondo. Anche se ha visto arrivare e succedere il cambiamento climatico e la crisi dei rifugiati non li ha ma letti in modo negativo, ma come qualcosa che l’umanità dovrebbe risolvere dopo aver trovato le soluzioni; lui stesso ha trascorso la sua vita a cercare le soluzioni per le crisi che prevedeva.
Penso che una cosa davvero importante sia stato il suo continuo ottimismo, la continua ricerca di soluzioni con la convinzione che possano essere trovate e possano essere applicate; lui non ha avuto mai un atteggiamento amaro o arrabbiato a causa della perdita delle illusioni, non ha mai perso l’illusione.
La seconda cosa che trovo davvero interessante di mio padre è che, nonostante le cause che ha difeso, non ha mai preso una posizione politica. La libertà di scelta in architettura, il rispetto per l’individuo, la necessità di sforzarsi di cambiare le strutture sociali per consentire una maggiore libertà a tutti, lo sforzo per istruire ed educare tutti rispetto a ciò che stava avvenendo, come il cambiamento climatico e la questione dei rifugiati, sono tutte cause che al giorno d’oggi possono essere interpretate da un punto di vista politico. Quello che penso sia sorprendente di mio padre è che, di queste cause, lui non ne ha mai fatto una questione politica, di partigianeria; per lui si trattava di spiegare, educare, condividere idee, ragionare su cosa si potesse risolvere, ma non ha mai caricato queste cause di un significato politico. Ovviamente sappiamo quali fossero le sue convinzioni politiche, ma lui non ne ha mai accennato. Anche se leggi i suoi libri, leggi le sue teorie e l’uso che ne ha fatto, capisci quali sono le sue opinioni politiche anche se lui non ne ha mai fatto una questione politica. Penso che questo sia ammirevole specialmente ora che tutto è così completamente caricato di significato politico, tutto è giusto o sbagliato, di destra o di sinistra, non c’è più quella semplice umanità che aveva lui. Aveva solo una profonda umanità senza alcuna affiliazione politica, e penso che questo sia molto ammirevole.


Il progetto “Dentro la città in ceramica di Yona Friedman” è il risultato di una collaborazione tra

                     

Con il sostegno di


Redazione a cura di Giulia Macchiarella

Orari

venerdì 9.30-13; 15.30-18.30
sabato 9.30-13; 15.30-18.30
domenica 9.30-17
lunedì 9.30-13

 

Iscriviti alla nostra newsletter

    Ho letto e accetto quanto definito nella privacy policy del museo

     

     

    Social network

    Segui il Museo della Ceramica di Savona
    sui social network:

    Pagina Facebook del Museo della Ceramica di SavonaProfilo Twitter del Museo della Ceramica di SavonaProfilo Instagram del Museo della Ceramica di Savona