3 Dicembre 2014
Il progetto di restauro del palazzo, di proprietà della Fondazione Agostino De Mari, e del suo recupero funzionale ai fini dell’allestimento museale ha richiesto diversi anni di lavoro.
Sono state adottate soluzioni architettoniche che potessero armonizzare il recupero delle parti originarie del contesto storico con l’inserimento di nuovi elementi, scegliendo linee e e materiali contemporanei quali acciaio e vetro. Per le superfici e le pareti interne è stato adottato il principio di uniformità: la pavimentazione in pasta di resina contribuisce a garantire continuità alle superfici e a valorizzare al massimo gli oggetti esposti nella loro varietà cromatica.
Gli allestimenti sono stati appositamente studiati secondo moduli creati in relazione alla natura dei pezzi ceramici. Ad esempio, per esporre una delle principali collezioni, quella della donazione del Principe Boncompagni Ludovisi, è stata creata una struttura a due piani in acciaio inox e vetro, collocata all’interno del grande vano a doppia altezza del salone del secondo piano. Una sorta di affascinante “macchina espositiva” percorribile al suo interno.
Conservazione e recupero delle parti originarie dell’edificio
L’ubicazione del museo all’interno del quattrocentesco Palazzo del Monte di Pietà ha reso necessaria l’adozione di soluzioni architettoniche indirizzate alla conservazione e al recupero delle parti originarie rimaste ad oggi nell’edificio. Sono stati infatti inseriti nuovi elementi architettonici allestitivi, dalle linee e dai materiali contemporanei, in primis acciaio e vetro, pensati per dar vita a una soluzione originale che allo stesso tempo non interferisse con la storicità dell’edificio e che, anzi, fosse in grado di valorizzarla.
Collegamenti lineari
Dal punto di vista più strutturale, una peculiarità del progetto è stata la realizzazione di collegamenti verticali interni che hanno generato un percorso di visita lineare fra tutti e quattro i piani. Fondamentale è stata la realizzazione del collegamento con la Pinacoteca Civica, ospitata nell’adiacente Palazzo Gavotti, al fine di creare un unico percorso di visita, fruibile in maniera integrata o singolarmente. Il collegamento tra i piani quarto, terzo e secondo del Museo della Ceramica è stato ottenuto inserendo una scala di struttura metallica volutamente moderna ed essenziale.
Continuità e uniformità dell’intervento
Il Palazzo del Monte di Pietà presentava una forte eterogeneità nelle tipologie di pavimento originarie, frutto delle numerose modifiche susseguitesi nel Novecento. I progettisti hanno optato per un intervento uniformante, inserendo in tutti gli ambienti una pavimentazione in pasta di resina a superficie continua di colore grigio chiaro, per garantire la continuità delle superfici e a valorizzare al massimo gli oggetti ceramici nella loro varietà cromatica. La facciata ottocentesca è stata restaurata e valorizzata da un elemento di forte impatto visivo: sulle tende a rullo interne ad ogni finestra viene riproposta esternamente l’immagine di un piatto in maiolica, la cui visuale completa è godibile da Piazza Vescovato.
Un’esposizione ispirata agli antichi sistemi di collocazione
La ristrutturazione è stata concepita in relazione alla natura dei pezzi ceramici, molti dei quali avevano bisogno di un’esposizione a carattere aggregativo. La formula espositiva adottata ha quindi richiamato per assonanza gli antichi sistemi di collocazione. È il caso delle due principali collezioni: i vasi da farmacia dell’Ospedale S. Paolo occupano con la scaffalatura l’intero perimetro delle pareti, da pavimento a soffitto, ricreando lo spazio e le proporzioni di un’antica farmacia; gli oggetti della collezione Boncompagni-Ludovisi sono ospitati entro un’analoga “scaffalatura” a due piani in acciaio inox e vetro, collocata all’interno del grande vano a doppia altezza del salone al secondo piano. Una sorta di “macchina espositiva” percorribile al suo interno.
Autori del progetto di restauro sono stati Armellino & Poggio Architetti Associati, lo Studio di Architettura Fallucca e l’Architetto Marco Ricchebono, chiamati dalla Fondazione A. De Mari alla ridefinizione degli spazi individuati per ospitare il nuovo museo sia dal punto di vista strutturale sia allestitivo.